THE ELECTRONIC CORNER

Landscape

Quando cinque è molto meglio di uno

I Landscape dicono:

Non ho mai cercato di creare un set elettronico che suonasse proprio come una batteria acustica
(Richard Burgess)

Ero libero di incorporare diversi suoni a mio piacimento da un’esibizione all’altra
(Chris Heaton)

Andare in tour con Hans Zimmer è assolutamente favoloso
(Andy Pask)

Credo che essere un uomo europeo sia uno stato d’animo
(Peter Thoms)

I Landscape erano un interessante mix di innocenza ed esperienza
(John Walters)

Se pensi che i Landscape siano solo “Einstein a Go Go” e poco altro, preparati a una grande sorpresa. Raramente ho visto così tanto talento condensato in una sola band. Per me i Landscape dovrebbero essere considerati come uno di quei supergruppi di moda negli anni ’80, come gli Asia o i Traveling Wilburys.
I risultati raggiunti singolarmente dai cinque membri della band sono talmente degni di nota che, per questa intervista, ho preparato una serie di tre domande per ciascuno di loro, in ordine alfabetico. Alla fine dell’intervista, troverai un link per esplorare per conto tuo i loro impressionanti curriculum. (Foto 2 di Brian Aris – 1982 Foto 3 di Steve Gritta – 1978)

Richard Burgess

Sir Joe: Agli inizi della tua carriera musicale, hai avuto l’opportunità di studiare e di esibirti in Nuova Zelanda, Australia, Stati Uniti e Regno Unito. Hai notato differenze significative nell’atteggiamento della gente verso la musica in queste quattro nazioni o, alla fine, “la musica è musica” e il luogo in cui la si impara e la si esegue è tutto sommato irrilevante?

RB: Ottima domanda! La musica viene spesso definita “linguaggio universale” e questo è confermato dalla mia esperienza. Se sai suonare e/o scrivere, quando ti trovi in una stanza con altri musicisti è molto facile comunicare attraverso il tuo strumento, anche se non parlate la stessa lingua.

SJ: Tu hai preso attivamente parte alle prime fasi di vita del ‘Blitz’.
Per cominciare, hai coniato il termine “New Romantic” per descrivere qualsiasi cosa legata al club gestito da Rusty Egan e Steve Strange, e questo termine in seguito ha definito un intero movimento musicale e culturale. Inoltre, hai prodotto i primi due album degli Spandau Ballet, protagonisti indiscussi della scena del Blitz.
In che modo l’atmosfera e la musica suonata in quel locale hanno influenzato il tuo lavoro con gli Spandau Ballet e viceversa? Suppongo ci sia stata una sorta di scambio reciproco, non è così?

RB: È esattamente così. I Landscape erano già sulla buona strada per diventare un gruppo completamente elettronico, io conoscevo Rusty Egan da circa otto anni e lui conosceva bene i Landscape, tanto che suonava il nostro primo album al Blitz.
A noi venne naturale adattarci a quel suono, però non facemmo mai parte del giro del club, poiché ci stavamo già muovendo per conto nostro, seppur in una direzione simile o parallela.
Gli Spandau Ballet erano nella fase formativa; fecero parte e assimilarono ciò che stava accadendo in quella comunità, e diventarono il gruppo New Romantic preminente e definitivo prima che il termine esistesse e prima che diventasse un fenomeno nazionale e internazionale.
Altri gruppi importanti facenti parte del movimento, come gli Ultravox, erano lì. C’erano anche Boy George, Marilyn, molti designer e altri creativi.
Il Blitz fu un calderone di creatività, un punto luminoso in un momento buio di Londra e della storia sociale, politica ed economica del Regno Unito. Mentre il punk aveva enfatizzato l’oscurità, il Blitz si concentrò sugli elementi positivi, edificanti e creativi che poi definirono il Regno Unito negli anni Ottanta. Negli Stati Uniti venne definita come la seconda invasione britannica.

SJ: Tu sei anche un vero e proprio pioniere della tecnologia musicale. Insieme a Dave Simmons, infatti,  hai inventato l’SDSV, considerato il primo valido sostituto elettronico della batteria acustica. Quanto del prodotto finale avevi in testa quando hai iniziato a svilupparlo, e quanto è derivato dal perfezionamento del prototipo? Quando hai utilizzato questo prototipo con i Landscape, qual è stata la principale difficoltà tecnica che hai dovuto affrontare?

RB: Sei molto gentile a menzionare la cosa. La mia visione era quella di una batteria completamente elettronica che sostituisse quella acustica in tutto e per tutto.
Avevo progettato il suo funzionamento utilizzando tecnologie precedenti e analizzando il funzionamento sonoro della batteria acustica. Poi avevo impostato i vari elementi che compongono il suono di ogni batteria su diversi moduli synth e li avevo combinati per ottenere i suoni finali di ogni batteria. Alla fine non riuscimmo a realizzare la mia visione più ambiziosa per motivi economici, legati alla realizzazione di un prodotto commerciale.
Ad oggi, per quanto le batterie elettroniche siano valide, non soddisfano ancora appieno i criteri che avevo in mente alla metà e alla fine degli anni Settanta. Tuttavia sono felice di aver superato il limite di quelli che io chiamavo “suoni di percussioni elettroniche con effetti speciali” (Syndrums, Synare, Impakt ecc.) per passare all’area delle “batterie elettroniche funzionali” (batterie elettroniche in grado di sostituire quelle acustiche nelle registrazioni e sul palco).
Non ho mai cercato di creare un set elettronico che suonasse esattamente come una batteria acustica: quello che volevo era un set che svolgesse le funzioni di una batteria acustica con una varietà di suoni molto più ampia. Essendo un batterista da studio dal 1971, ero particolarmente interessato al suono della batteria registrata, che è molto diverso da quello di un set acustico in una stanza.
La principale difficoltà tecnica consistette nel fatto che il mio prototipo, che ho ancora, era fragile. Si trattava di un mucchio di componenti e fili avvitati su una scheda, e i connettori erano tutti allentati. Dovevi avere un cacciavite per regolare i suoni e un saldatore per riparare qualsiasi cosa si rompesse durante l’utilizzo. Tuttavia, fu molto divertente ed emozionante riuscire a farlo funzionare e a realizzare le prime registrazioni con una batteria completamente elettronica al posto di una acustica.
Scelsi dei suoni analogici alla vigilia della nuova tecnologia di campionamento digitale perché i campioni digitali non erano ancora abbastanza flessibili e versatili, per raggiungere gli obiettivi che avevo in mente.

Chris Heaton

SJ: Alla fine degli anni ’60 hai sentito per la prima volta il suono dei sintetizzatori, prodotti dai moduli Buchla. Qual è stata la tua reazione all’epoca? Questa esperienza ti ha ispirato a esplorare e a specializzarti nell’uso di strumenti elettronici o si è trattato semplicemente di una curiosità momentanea?

CH: È interessante notare che Donald Buchla non amava la parola sintetizzatore, e preferiva chiamare il suo strumento “carillon elettrico”. Buchla e i suoi collaboratori volevano un nuovo strumento musicale che permettesse di controllare il suono e le idee musicali dal vivo, mentre Robert Moog, più o meno nello stesso periodo, aveva capito che il modo per far funzionare il suo strumento era quello di utilizzare una tastiera “da pianoforte”.
Il Moog modulare poteva essere suonato da pianisti o organisti in uno studio di registrazione (principalmente a New York), mentre lo strumento di Buchla fu sviluppato nell’ambiente più accademico del Tape Music Center di San Francisco, con il controllo dei suoni come idea principale.
Mi piaceva l’idea di Buchla, perché ti permetteva di gestire il suono nei minimi dettagli o di lasciare spazio all’imprevisto, di utilizzare multi sequencer o di controllare e intervenire manualmente su quello che accadeva.

SJ: Tu sei stato uno dei primi musicisti a utilizzare i modulatori ad anello, e hai sviluppato un approccio creativo all’amplificazione, ai pedali e ai delay per modificare il suono del tuo pianoforte Fender Rhodes. Questo sembra allinearsi perfettamente con l’improvvisazione, uno stile che ti ha sempre appassionato.
So che è molto difficile descrivere un suono a parole, ma puoi condividere il tuo “trucco” preferito quando usi questi strumenti in una performance di improvvisazione?

CH: Sono stato molto fortunato con i Landscape. L’ambiente in cui mi esibivo dal vivo mi permetteva di incorporare diversi suoni (soprattutto negli assoli) a mio piacimento da un’esibizione all’altra: su uno stesso brano potevo suonare un assolo di piano elettrico con l’eco, e magari un fuzzbox e un treble booster nel concerto successivo.
Inoltre, dato che a volte era difficile capire quale fosse l’esatta tonalità dell’onda sinusoidale nel modulatore ad anello, era divertente accenderlo e vedere cosa sarebbe successo, perché poteva davvero succedere di tutto.
Un ottimo esempio nella raccolta “Landscape A Go-Go” è il meraviglioso assolo di sax soprano elettrico di John su “Stranger”: lì, avevo semplicemente acceso i pedali e il modulatore ad anello, ed eravamo partiti.

SJ: Qual era la principale difficoltà tecnica che i Landscape dovevano affrontare in una performance dal vivo?

CH: Per quanto mi riguarda, accendere il CS80 abbastanza presto da essere certo che si accordasse bene, e assicurarmi che tutti i pedali avessero le batterie nuove.

Andy Pask

SJ: L’elenco dei grandi artisti nei cui album hai suonato il basso è mostruoso. Inoltre, hai avuto (e continui ad avere) un programma di esibizioni dal vivo molto intenso.
Ti è mai capitato di pensare che questa “dipendenza dalla musica” potrebbe averti allontanato da altre cose che avresti voluto imparare o fare? Oppure, nel corso dei decenni, hai sempre vissuto esattamente il tipo di vita che volevi?

AP: Mi ritengo estremamente fortunato ad aver trascorso tutta la mia vita lavorativa nella musica. Di tanto in tanto mi sono trovato annoiato o frustrato da quello che stavo facendo, sia dal punto di vista musicale che delle condizioni di lavoro, ma mi sono divertito e ho ricavato qualcosa da quasi tutto ciò che ho fatto.
Forse sono una persona che si accontenta facilmente, non lo so, ma non ho mai avuto un’ardente ambizione artistica o la necessità di perseguire obiettivi artistici univoci. Questo comporta che la varietà di lavori e di musica che ho fatto nel corso della mia carriera sia stata stimolante e mai ripetitiva o noiosa.
Ad esempio, negli ultimi dodici mesi ho suonato jazz e un pezzo di Julia Wolfe con la Philharmonia, musica natalizia e un’opera di Michael Tippett con la BBC Scottish Symphony Orchestra, sessioni di film e musica gospel con la London Symphony Orchestra, ABBA e rock sinfonico con la Royal Philharmonic Orchestra, esibizioni con la BBC Concert Orchestra, una tournée di operette a Trieste, due tournée con Hans Zimmer Live e una serie di sessioni di film.
Pensa che per tredici anni ho suonato in nove spettacoli diversi nel West End. Avrebbe potuto essere noioso, ma sono stato fortunato perché gli spettacoli includevano grandi lavori come “The Bodyguard” e “Hair” e, con il giusto spirito e un gran lavoro nelle variazioni, anche sei o più spettacoli a settimana non mi hanno dato fastidio.
Quando si suona con i migliori musicisti, la concentrazione sul groove è costante e ipnotica e non mi stanco mai. E poi, se non lavorassi con la musica, sarebbe difficile per me trovare una professione più piacevole dal punto di vista sociale.
Ci sono indubbiamente altre cose che mi interessano e che probabilmente mi sarebbero piaciute allo stesso modo. Ad esempio, mi sarebbe piaciuto diventare un ingegnere, magari nel campo dell’elettronica o della nanotecnologia. Ricordo di aver ascoltato la BBC Reith Lecture di un ingegnere che diceva che non si sente mai parlare molto degli ingegneri perché quello che fanno è molto affascinante, ma lo fanno in silenzio, senza clamore.
Ad ogni modo, sono contento di come sono andate le cose. Andare in tour con Hans Zimmer è assolutamente favoloso; sono con un gruppo di persone adorabili e di incredibile talento, e ho la possibilità di girare il mondo e visitare città e Paesi interessanti.

SJ: Qual è la differenza principale, ammesso che ci sia, tra lavorare all’album di un artista e lavorare a una colonna sonora?

AP: In generale, la musica di una colonna sonora è scritta a supporto delle immagini di un film e a volte può sembrare incompleta durante la registrazione, mentre una canzone per un artista è sempre un pezzo completo, e questo può dare più soddisfazione.
Io suono in entrambi i tipi di sessioni come membro di sezioni di basso orchestrale e sezioni ritmiche. In una sezione di basso orchestrale devi suonare esattamente quello che c’è scritto, mentre in quella ritmica mi viene offerta qualche opportunità di essere creativo, il che può essere gratificante e divertente.

SJ: A proposito di divertimento, qual è l’episodio più divertente che ricordi nella tua attività con i Landscape?

AP: All’inizio ci eravamo trovati in situazioni strane, perché non avevamo soldi. Ricordo che una volta dormimmo sul pavimento di un negozio di alimenti naturali, con i topi che ci giravano attorno, e una sera affittammo un paio di roulotte in un parcheggio per camper.

Peter Thoms

SJ: So che hai registrato musica di repertorio per compagnie prestigiose come De Wolfe Music e la Universal Music. Per te è stato come bere un bicchiere d’acqua, o un lavoro del genere comporta difficoltà delle quali i non addetti ai lavori non sono al corrente?

PT: Una delle cose che ho imparato facendo parte dei Landscape è il vantaggio della collaborazione. Parte della musica di repertorio che ho scritto è stata infatti realizzata in collaborazione con altri.
Dopo aver lavorato con il sassofonista Andy Hamilton nei Boomtown Rats (incluso il Live Aid), abbiamo co-scritto molti brani insieme, sfruttando le nostre capacità combinate. Dopo aver lavorato con gli Haircut 100 ho co-scritto altri brani con il loro sassofonista Phil Smith.
Ho lavorato allo show gospel nero “People Get Ready” di Channel 4 e ho collaborato con il chitarrista/vocalista Noel Robinson per la realizzazione di brani sia di repertorio che commerciali. Per produrre musica latina sono stato aiutato dal mio collega venezuelano Spiteri Micho Correa.
Comporre e registrare musica non è mai un compito facile, ma può essere divertente. La sfida principale è trovare uno stile o un genere che non siano già stati sfruttati.

SJ: Un trombonista in una band totalmente elettronica stimola inevitabilmente la mia curiosità. Puoi spiegare come il suono del tuo strumento è stato elaborato per fondersi con la sonorità dei Landscape?

PT: Dato che il trombone trova la sua naturale collocazione in una sezione di ottoni, non è stato facile trovare il modo di inserirlo in una sezione ritmica rock con un solo altro strumento, per creare un ensemble funzionante. Fortunatamente, dato che John utilizzava il lyricon (e prima ancora il sax soprano e il flauto con i pedali) e io un sintetizzatore Roland Pitch-to-Voltage, siamo stati in grado di creare un suono unico, ulteriormente favorito da sovrapposizioni intelligenti che John e io abbiamo elaborato. L’uso di divisori d’ottava, pedali fuzz e wah-wah hanno aumentato le tonalità sonore che sono riuscito a offrire.

SJ: Nella descrizione del profilo Instagram dei Landscape si legge “Uomini Europei”, con evidente riferimento alla prima traccia dell’album “From the Tea-Rooms of Mars”.
Cosa significa per la band, e per te in particolare, essere un uomo europeo, soprattutto considerando che la Gran Bretagna ha deciso qualche anno fa di essere un po’ meno europea e che tu sei originario dell’Australia?

PT: Credo che essere un “uomo europeo” sia uno stato d’animo. Per i musicisti, i confini e le scelte politiche che hai descritto non ci separano dalla cultura e dalle comunità musicali in Europa e altrove. Sono cose che restano, e noi le accogliamo a braccia aperte.

John Walters

SJ: Insieme a Richard Burgess hai programmato il Fairlight nell’album “Never for Ever” di Kate Bush. Siete stati coinvolti nella selezione dei suoni, o è stata più di una situazione del tipo “Mi serve il suono di un vetro che si rompe”? Qual è stata la difficoltà principale nel programmare del Fairlight?

JW: Quando siamo andati all’Abbey Road per lavorare su Never for Ever, avevamo già una libreria di suoni che avevamo creato o modificato e con cui eravamo abituati a lavorare, ma Kate era interessata a scoprire cosa poteva fare il Fairlight CMI campionando da zero.
Alcune delle cose che pensava che il Fairlight fosse in grado di fare – lunghi campionamenti atmosferici – erano al di là delle capacità dello strumento nel 1980, quindi abbiamo suggerito di inserire i suoni da un nastro, cosa che il brillante co-produttore di Kate, Jon Kelly, era ben abituato a fare.
Per “Babooshka”, i bicchieri di vino rotti facevano parte della storia della canzone – la moglie che lancia i bicchieri contro il marito inaffidabile – quindi abbiamo rotto molti bicchieri, creato dei campioni ed escogitato un modo per utilizzarli nell’arrangiamento di Kate.
Per “Army Dreamers” abbiamo campionato il suono di un fucile portato da John Bush (il fratello fotografo di Kate), e Richard lo ha suonato ritmicamente dalla tastiera. Per “Delius” abbiamo provato molti campioni: il più memorabile è il suono vocale “usss” alla fine del nome.

SJ: Tu hai scritto molto sulla musica, anche come recensore di album. Devo ammettere di avere un problema con alcuni critici musicali (soprattutto quelli che non hanno mai fatto musica), che tendono a scrivere come se le loro fossero verità assolute piuttosto che delle semplici opinioni.
Essendo tu stesso un musicista, pensi sia possibile basarsi su elementi oggettivi quando si recensisce il lavoro di altri musicisti, o ritieni che tutto ciò che tu o chiunque altro scrivete in veste di critico musicale debba essere considerato esclusivamente come un’opinione personale?

JW: Negli anni ’90 avevo co-fondato la rivista musicale “Unknown Public” come modo per affrontare la sfida di scrivere di musica creativa: a volte è più facile indicare le cose che descriverle. Tuttavia, viviamo in un mondo visivo e letterato e prima o poi si devono descrivere le cose a parole.
Molti elementi della musica possono essere descritti in modo oggettivo, ma i lettori vogliono sapere ciò che un critico pensa e sente di un certo lavoro, e perché. Ci saranno persone che leggono i miei articoli e le mie recensioni che non condividono le mie opinioni, ma confido che i miei scritti possano dare loro un’idea di come suona la musica e incuriosirli, facendogli conoscere nuova musica o facendoli pensare in modo diverso alla musica che conoscono.
Quando leggi regolarmente un critico, puoi calibrare le tue opinioni rispetto alle sue: per questo motivo mi è piaciuto scrivere regolarmente colonne per l’Independent e il Guardian.

SJ: Mentre i Landscape muovevano i primi passi, tutti e cinque eravate già musicisti altamente qualificati, e quasi tutti polistrumentisti con esperienza in una vasta gamma di generi musicali.
Durante il processo creativo (composizione, arrangiamento e selezione dei suoni) come siete riusciti a evitare che questo immenso potenziale creativo diventasse più una fonte di tensioni che un’opportunità? Come funzionava il processo creativo all’interno della band?

JW: In realtà io non sono mai stato molto qualificato! I Landscape erano un interessante mix di innocenza ed esperienza. L’elettronica ci incoraggiava a scambiarci i ruoli. Sebbene Richard fosse un batterista coi fiocchi, “Einstein a Go-Go” ha un pattern di batteria ultra-semplice che ho programmato io. Dovemmo imparare da soli a programmare i computer da zero, perché all’epoca non c’erano corsi o tutorial su YouTube. Le voci erano spesso piuttosto grezze.
Con l’idea di fondare un gruppo per suonare le mie composizioni, avevo cercato persone molto più brave di me. Avere dei colleghi creativi non è mai un problema. I Landscape andavano spesso controcorrente, e amavamo esibirci con la massima potenza e intensità possibile.
Quando poi la band si trasformò in un quintetto cooperativo, gli altri quattro membri portarono con sé i propri brani e iniziammo a co-scrivere: Richard e io “U2XME1X2MUCH” e “Einstein a Go-Go”; Peter e io “Workers”, “Playtime” e “Nearly Normal”; Chris e Richard “New Religion” e “The Doll’s House”.
La maggior parte dell’album Manhattan Boogie-Woogie è stata scritta collettivamente, e anche i brani scritti da una sola persona (“Norman Bates”, “Tribute”) hanno beneficiato di un enorme contributo creativo da parte degli altri.
In studio buttavamo giù un sacco di idee, e il processo di editing fino a giungere al prodotto finito avveniva in un secondo momento. Lavoriamo ancora in questo modo e abbiamo un repertorio enorme, perciò c’è ancora molto da scoprire negli archivi.

SJ: Domanda finale per tutti i membri:
“Landscape A Go-Go: The Story of Landscape 1977-83”, pubblicato nel 2023, è disponibile come cofanetto di 5 CD e in formato digitale su tutte le principali piattaforme digitali.
Quando pensi a questa raccolta di 84 brani e quasi sei ore di musica, qual è il primo pensiero che ti passa per la testa?

Richard Burgess: Penso a quanto sia stato divertente lavorare di nuovo con la band e a quanto sia stato facile essere creativi. Mi è sembrato di tornare alla modalità in cui ci trovavamo mentre stavamo sviluppando la band negli anni Settanta.
Inoltre, è stato incredibilmente emozionante ascoltare questa musica per la prima volta dopo più di 40 anni e in alta risoluzione digitale dalle registrazioni su nastro restaurate.

Chris Heaton: Che eravamo un gruppo meraviglioso dal vivo, e che mi piaceva molto suonarci.
Inoltre, è interessante che tutto ciò che abbiamo imparato collettivamente sia confluito nel lavoro in studio per l’album “From the Tea Rooms of Mars”.

Andy Pask: Dopo essermi immerso di nuovo in questa musica, mi sono reso conto di aver capito molte cose sui Landscape che all’epoca non avevo compreso appieno. Queste 84 tracce si sono rivelate un progetto immenso, molto gratificante da portare a termine, che dà una visione davvero completa di tutte le diverse fasi attraversate dalla band.

Peter Thoms: La mia reazione all’uscita di “Landscape A Go-Go” è stata di soddisfazione e orgoglio per essere riusciti ad accorpare il nostro miglior lavoro di quel periodo in un unico cofanetto, che suona ancora fresco e vitale.
Le reazioni positive che abbiamo ricevuto giustificano il lavoro che abbiamo fatto.

John Walters: Lavorare di nuovo con Richard, Chris, Andy e Peter e con il graphic designer John Warwicker è stata un’esperienza fantastica, ed è una bella sensazione sapere che tanta musica dei Landscape è disponibile in tutto il mondo.

Siamo davvero grati ai Landscape per questa intervista approfondita! Se ti è piaciuta o se hai qualche domanda, lascia un commento nella sezione sotto il video promozionale.

Ricorda di dare un’occhiata al loro sito ufficiale e di seguirli nei loro vari social media

Ti invito anche a leggere le altre interviste di The Electronic Corner

Invia commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *