Presentazione Corea del Sud
La Corea del Sud è una repubblica semi-presidenziale caratterizzata da un sistema democratico rappresentativo e multipartitico e il cui Presidente, eletto direttamente dai cittadini, è sia capo dello Stato che capo del governo.
Il Paese occupa la metà meridionale della penisola coreana, è prevalentemente montuoso, con piccole vallate e strette pianure costiere, e ha una popolazione di oltre 51 milioni di abitanti.
Questa è stata la mia seconda visita al Paese asiatico, puoi leggere tutto sulla prima nell’articolo riguardante Seul.
Insieme a Ji Hun ho vistato Busan e Jeonju, ma per prima cosa ti mostrerò altre meraviglie di Seul, che non avevo avuto modo di vedere nel corso della prima visita.
Spero che ti piaccia
Quello di Suguksa è l’unico tempio dorato della Corea del Sud, e si trova a nord di Seoul. Non è facile da trovare e non è indicato in nessuna guida turistica, il che lo rende ancora più speciale.
Tieni presente che qui per tempio si intende una serie di edifici, e il tempio di Suguksa ne comprende 4, di cui uno in ristrutturazione.
Diversamente dal Giappone, nella Corea del Sud è permesso fotografare e filmare tutti gli interni di un tempio, ed è un bene perché questi sono meravigliosi.
I personaggi all’interno del primo edificio non sono immaginari, ma persone realmente esistite, tant’è che si può leggere il nome sotto ciascuna statuetta. Quelli più grandi sono degli Arahan, considerati come dei semidei.
Le ultime due foto si riferiscono a un edificio adibito alla purificazione dell’anima e alla tabella con il rituale da seguire. Come vedi, si inizia alle 19 del primo giorno e si finisce alle nove del terzo.
Il rituale consiste in tutta una serie di inchini, sedute di meditazione e preghiere e bisogna prenotare, perché non è ammessa più di una persona.
Una piacevolissima sorpresa
Passiamo ora al cimitero di Seooreung, Patrimonio del Unesco, che contiene cinque tombe reali della dinastia Joseon.
In questo caso, per tomba si intende un insieme di strutture, che qui è appunto replicato cinque volte: si parte da un torii coreano (se hai voglia puoi fare il confronto con quelli giapponesi del mio post precedente) e da un sentiero lastricato di pietre che va percorso solo dal lato destro, perché il cammino centrale è riservato a coloro che ogni anno si occupano della cerimonia del ricordo.
Alla fine del sentiero di arriva a una struttura chiamata jaesil, ossia la casa del guardiano della tomba. Altri dettagli sono leggibili nella scritta in una delle foto.
Direttamente dietro al jaesil o a volte alla sua sinistra o destra, c’è una collinetta non visitabile in cima alla quale riposano i corpi del re o regina e dei loro consorti (le collinette sono naturali).
Ovviamente non può mancare almeno un museo. Questo è il Seoul Museum situato di fianco al SeokPaJeong, ossia il giardino di una residenza utilizzata dai re della dinastia Chosun.
La precisazione è importante perché di ‘Seoul Museum’ in città ce ne sono un sacco.
Questo è un museo di arte moderna, e presenta alcuni lavori interessanti, come ad esempio alcuni quadri illuminati dall’interno, ossia con delle lampadine inserite dentro la cornice che danno grande senso di profondità all’opera.
Notevoli anche delle sculture che hanno senso nel momento in cui una luce piazzata in un punto particolare proietta le loro ombre sul muro.
Il giardino è molto bello, e dà un grande senso di pace.
Un giorno, durante uno dei nostri giri, passiamo accanto a quella che fino a pochi mesi fa è stata la residenza dei vari Presidenti della Repubblica che si sono succeduti negli ultimi decenni.
A tal proposito, è curioso il fatto che il penultimo e terzultimo presidente (rispettivamente una donna e un uomo) siano al momento in prigione, per scontare una condanna di diversi anni. Se da una parte questo significa che la corruzione non è un male sconosciuto nemmeno nella Corea del Sud, dall’altra vuole anche dire che almeno qui i politici vanno in galera, quando sgarrano.
Ad ogni modo, pensiamo di visitare la residenza, visto che siamo lì, ma scopriamo che per entrare è necessario fare una prenotazione online con un certo anticipo, per motivi di sicurezza. Tuttavia, quando mi vedono, c’è un conciliabolo tra gli addetti ai biglietti e quelli alla sicurezza, e decidono di prepararci un pass lì, sul momento.
Ji Hun rimane molto sorpreso, ma io no, perché ogni volta che viaggio in Asia gli atti di gentilezza inaspettata nei miei confronti si sprecano.
Ora facciamo una piccola pausa culinaria.
Nutrivo molte speranze in questo snack di alghe, ma purtroppo alla fine si è rivelato piuttosto insipido e molto oleoso.
Il sapore ricorda un po’ le nuvole di drago, ma senza quel tocco di gamberetti.
Il melone coreano è grande più o meno come un’arancia.
L’aspettò è molto carino, ma purtroppo anche in questo caso sono rimasto un po’ deluso. Tanto lavoro per pulirlo e sbucciarlo, ma alla fine si mangia poco e il sapore è piuttosto piatto.
Se ancora ci fossero dubbi sul ruolo del peperoncino da queste parti, sappi che nei supermercati si trovano interi scaffali con confezioni da 2,5 kg e oltre.
I curiosi anelli che vedi dentro quel sacco gigante sono invece l’equivalente coreano dei pop corn. Gli ingredienti sono gli stessi, ma viene aggiunta una piccola dose di farina di riso.
Il tempio di Jogyesa, nel centro di Seul, merita una visita soprattutto nei giorni in cui si celebra il compleanno di Buddha, perché l’illuminazione è davvero spettacolare.
Altro tempio, altre foto. In questo caso siamo in una delle molte colline di Seul, e il tempio è quello di Myogaksa.
Per concludere questa seconda parte delle mie avventure a Seul, ci rechiamo a Seongnam, un sobborgo di Seul conosciuto in zona per il suo gigantesco mercato alimentare, che occupa diversi isolati.
Mi è sembrato di tornare in Cina, perché la gente mi fermava per chiedermi da dove venivo, visto che un turista occidentale non avrebbe motivo di andarci. Lì si trova quasi tutto ciò che è commestibile, incluso dei funghi che a me sembravano pietre.
La seconda foto invece mostra un laboratorio per la produzione di preparati della medicina orientale, molto popolare anche nella Corea del Sud. All’interno del mercato ovviamente si può anche mangiare, in un’area che mi ha tanto ricordato i nostri Festival dell’Unità, dove tutti parlano con tutti e chi prepara i pasti scherza con i clienti.
Anche lì ho destato la curiosità degli altri commensali, che quando hanno visto che tracannavo il makgeolli come se non ci fosse un domani hanno iniziato a far mandare verso di noi dei piatti ordinati apposta per farmi assaggiare di tutto e di più.
L’unica cosa che li ha lasciati perplessi è come facesse un prete missionario a bere così tanto. Secondo la loro logica, infatti, un italiano che sembrava spassarsela così tanto in mezzo a loro non poteva che essere un emissario inviato dal Vaticano 🙂
Ti sei mai chiesto come si produce il riso soffiato?
A Seongnam si usa ancora il metodo tradizionale, che puoi vedere nel video qui sotto.
Tutti in attesa del botto da questa specie di betoniera a pressione
Finalmente riesco a prendere il caffè in uno di quei locali che hanno anche un menù e il sedile per i cani a ogni tavolo.
A Seul non c’ero mai riuscito, perché comprensibilmente quei posti sono presi d’assalto.
Da noi non potrebbero funzionare, ma nella Corea del Sud, visto che il 90% dei cani ha le dimensioni di una pantegana, vanno alla grande.
Allora, devi sapere che qualche anno fa ho visto un film chiamato ‘Train to Busan’.
Il problema è che a Busan quel treno non ci arriverà mai, perché durante il viaggio degli stupidi zombie si mangiano tutti, incluso il macchinista!
In quel momento ho deciso che dovevo assolutamente scoprire come era fatta questa Busan, e che lo avrei fatto di persona.
Che ci stia andando in aereo e non in treno non conta, il punto è che sfido qualsiasi zombie a mangiarmi!
Tra l’altro, Ji Hun e io siamo andati a Osaka con Air Busan e or astiamo andando a Busan con Jeju Air. Ora dobbiamo solo più andare a Jeju con Air Osaka, e il cerchio si chiude…
Con i suoi 3 milioni e mezzo di abitanti, Busan è la seconda città della Corea del Sud.
La storia della sua crescita è piuttosto triste, ma te la racconterò più tardi.
All’estero è conosciuta soprattutto per il suo film festival, e tra i personaggi legati al mondo del cinema che hanno lasciato l’impronta della mano in una delle strade principali, c’è anche il nostro Ennio Morricone.
Mentre in Giappone possono servire fino a tre carte per girare all’interno della stessa città, in Corea con una carta si possono usare i mezzi pubblici di qualsiasi città, grazie a un sistema di trasporti integrato a livello nazionale.
La sfruttiamo subito per utilizzare una delle sei linee di metropolitana e andare verso il centro.
Viaggio estremamente comodo, ma non è una sorpresa
Curiosamente, in poche ore siamo passati dalla Chinatown di Seul a quella di Busan, che però alle otto del mattino di un sabato è ancora troppo sonnolenta per essere interessante.
Ci rechiamo perciò al porto, che sfoggia diverse decine di navi da pesca. Non a caso, il mercato del pesce è enorme, con una parte all’esterno che si snoda in un’unica strada lunga circa 1,5 km e una all’interno che ha diversi corridoi di circa 200 m di lunghezza ciascuno.
Il più grande che abbia mai visto, e non a caso uno dei più grandi al mondo
Decidiamo di pranzare al porto, anche se sono solo le 11:30, ma ne vale la pena.
Misto di pesce crudo e polpo fritto, accompagnati dai soliti 200 piattini, tra cui funghi, patate dolci, kimchi, riso, tofu e un paio di salse.
Nei primi mesi del 1951, più di 500.000 persone si rifugiarono a Busan, unica città della Corea del Sud oltre a Daegu a non essere stata conquistata dalle truppe del Nord durante i primi tre mesi della guerra di Corea.
Queste persone vennero collocate in case costruite in fretta e furia e il quartiere di Gamcheon, sorto negli anni ‘20 quando l’amministrazione giapponese aveva deciso di ricollocare alcune migliaia di persone della classe operaia che non lavoravano al porto, ne accolse una parte.
Di conseguenza, Gamcheon diventò quanto di più simile a una favela mi venga da pensare, visto che tra l’altro molte di queste nuove abitazioni erano prive di acqua corrente, elettricità e servizi igienici. Ora sono state tutte ristrutturate e Gamcheon è diventata un’attrazione turistica, per quanto la gente ancora abiti lì.
A metà tra favela e attrazione turistica
Dopo questa interessantissima visita, è ora di visitare la torre di Busan.
Sebbene sia alta solo 120 m, offre un panorama notevole sulla città, e al suo interno ha alcune stanze ‘psichedeliche’ decisamente interessanti.
Al momento del check in all’albergo, chiamato AG405, ho ricevuto l’ennesima bellissima sorpresa da Ji Hun: non solo mi ha fatto trovare il water giapponese, ma ha prenotato una stanza con vista strepitosa di giorno ma soprattutto di notte sulla baia di Busan e il ponte Gwangan, lungo quasi 7 km e mezzo.
Dopo cena, ci tuffiamo nell’atmosfera notturna e festaiola di questa zona di Busan, difficile da rendere a parole. Spero che le foto e i video parlino per me.
Apprezzo soprattutto i ragazzi che usano una zona del lungomare come area picnic, senza urlare e senza volersi far notare a tutti i costi.
E se ti dicessi che avrei passato una settimana in quell’albergo solo per potermi godere quel panorama ogni notte?
Per chi ama il mare e i grattacieli come li amo io, questo posto è un paradiso
Come i quartieri per universitari di Seul, ma trasportato sulla spiaggia
Ormai sai già che adoro osservare e ascoltare i ragazzi che si esibiscono per strada
Il mattino seguente restiamo nella zona dell’albergo, che ospita la sede dell’International Film Festival e il più grande centro commerciale della Corea del Sud, il che significa uno dei più grandi al mondo, suddiviso in vari edifici.
Il record del centro commerciale a struttura unica più grande al mondo spetta ancora al New Century Global Center di Chengdu (lo trovi all’inizio dl mio articolo sul Sichuan), con i suoi 500 m di lunghezza per 400 di larghezza e 100 di altezza.
Queste strutture comunque sono così grandi che è impossibile inquadrarle per intero, anche con il grandangolo.
Come già sai, i centri commerciali in Asia sono una gioia per gli occhi al di là delle migliaia di negozi che trovi al loro interno.
In questo specifico centro, per lavorare per i brand più famosi e cari bisogna essere anche dei modelli, e non è una battuta. I requisiti sono molti e difficilmente raggiungibili, e questo contribuisce a renderli dei posti molto ambiti.
La coda per poter entrare in questi negozi, poi, può raggiungere anche i 50 metri e, come accade spesso in Asia, c’è anche una pista per il pattinaggio.
Le ultime 24 ore mi hanno fatto pensare a quanto sia curioso il fatto che Busan sia divisa in due aree così diverse tra loro, tanto che sembra difficile credere che si tratti della stessa città.
La zona ovest è quella del porto e delle ‘favelas’ e ospita le persone più povere e meno istruite, che lavorano quasi tutte o al porto o ad attività collegate con il mercato del pesce (negozi, ristoranti, fabbriche per la lavorazione).
La parte est invece è quella dei benestanti, dove la tecnologia e la modernità la fanno da padrone.
La distanza fra questi due mondi è anche fisica: per andare dal porto alla zona del nostro albergo, ci vogliono 34 fermate di bus, e la distanza tra una fermata e l’altra non è poi così breve.
D’altra parte, pensa se Genova dovesse avere 3 milioni e mezzo di abitanti: non potendosi estendere più di tanto verso la montagna, giocoforza dovrebbe svilupparsi molto verso ovest ed est.
Ma ora è il momento di mostrarti altre foto, quelle del tempio di Haedong Yonggungsa, costruito nel 1376 e uno dei pochi templi della Corea del Sud situato presso l’oceano.
Questo tempio è molto frequentato dalle giovani coppie, che scrivono messaggi di augurio su bigliettini dorati a forma di cuore e poi li appiccicano lungo le ringhiere.
Dopo la vista al tempio, andiamo a fare una passeggiata in spiaggia, dove decine di surfisti stanno aspettando l’onda giusta per divertirsi un po’.
Ammiro la pazienza di questi ragazzi: nei circa 20 minuti in cui li osserviamo mentre camminiamo, contiamo non più di due onde cavalcabili.
La nostra passeggiata termina al Daritdol Observatory, una struttura dalla quale si gode una vista notevole sull’oceano.
Da lì, prendiamo il trenino che copre parte della costa di Busan e che ci porta fino al ‘Busan X The Sky’.
Un trenino molto carino che percorre un tratto della costa all’interno di Busan
Busan X The Sky è una torre aperta nel 2020, che permette di vedere la città da un’altezza di 412 metri.
Non per chi soffre di vertigini
Notevole anche l’ascensore, che raggiunge il 100º piano in meno di 60 secondi.
Il solito spettacolare ascensore delle torri asiatiche
Nuova giornata, nuovo giro, questa volta su un ferry-boat. C’è molto vento, cosa che suggerirebbe di stare all’interno della nave, ma quando a bordo ci sono due bambini non accompagnati, ovviamente passano tutto il viaggio fuori, nella bufera.
Così, mentre Ji Hun si allena nella sua parte di Jack Dawson, io cerco di ripararmi come posso. La parte verde che vedi nella foto di Google map appartiene al Giappone, che dista solo 50 km.
Peccato solo per il forte vento
L’ultima visita, prima di recarci in aeroporto, è al songdo cloud walk, una serie di ponticelli che offrono una vista interessante sulla spiaggia e sui dintorni.
Devo dire che, per quanto Busan mi sia piaciuta moltissimo, sono contento tornare a casa a Seul, più che altro per gli spostamenti.
A Busan infatti il traffico è orribile e i bus sono mediamente vecchi, al punto che ad ogni partenza e frenata ci sono degli scossoni che rischiano sempre di farti cadere.
E le sei linee di metropolitana? A parte il viaggio dall’aeroporto alla zona ovest e viceversa, non le abbiamo mai usate, e il fatto che i bus siano sempre strapieni mi fa pensare che forse i percorsi che coprono non siano poi così utili.
Bisogna anche dire che avere il mare a sud e la montagna a nord non aiuta, anzi sono già stati molto bravi a costruire diversi ponti sul mare per collegare più facilmente varie zone della città.
Passando alle foto, mi diverte il fatto che i coreani, appena inizia a fare un po’ più caldo, se ne vadano in giro in ciabatte, anche per i viaggi in aereo. Quelle della foto sono già sofisticate, tipo sandali, ma in molti girano proprio con le ciabatte da piscina!
Ji Hun adora farmi foto in giro con della roba in testa, solitamente dei bicchieri di carta. Non so se devo iniziare a preoccuparmi…
Il video dell’atterraggio a Seul dovrebbe darti un’idea di quanto sia estesa la città.
Tieni presente che ho eliminato i primi due minuti, per non renderlo troppo noioso, ma stavamo già sorvolando la capitale.
Di certo non l’atterraggio più morbido della mia vita…
Ti confesso che non avevo mai sentito nominare la città di Jeonju (pronuncia: Giòngiù), forse perché lì non è mai stata segnalata la presenza di zombi.
Jeonju è famosa per i monumenti, i festival ma soprattutto per la gastronomia locale, caratteristica che nel 2012 ha spinto l’UNESCO a nominarla come la “città con la gastronomia più creativa”.
La stazione dei bus da cui partiamo non è una semplice stazione, ma ormai a questo mi ci sono abituato.
Come sempre, anche se il viaggio in bus dura meno di tre ore, inclusa una sosta di 20 minuti a metà percorso, Ji Hun ha esagerato, prenotando i biglietti su un bus che sembra la prima classe di un aereo.
Per fortuna costa meno di 20 €, per cui questa volta non mi sento molto in colpa.
Mentre alla TV si celebra lo scudetto del Napoli, noi iniziamo l’esplorazione della città, ovviamente cercando un ristorante!
I bus locali sono molto carini, e rendono meno triste la giornata piovosa.
La foto appesa all’ingresso del locale fa già capire quanto la cucina venga presa sul serio da queste parti. Per prima cosa ci portano i soliti 200 contorni, sui quali penso di non avere mai chiarito una cosa: te li portano non appena ti siedi a tavola, quindi sono indipendenti da quello che poi ordinerai, sono gratis e ne puoi riordinare quanti ne vuoi, quando il piattino è vuoto.
La parte peggiore di me ha subito pensato che in teoria si potrebbe ordinare un piatto da tre euro e mangiare fino a scoppiare solo continuando a riordinare questi contorni, e Ji Hun mi ha confermato che il ristoratore non potrebbe farci nulla, se non augurarmi un forte mal di pancia.
Il soufflé è molto buono e ha la giusta consistenza, e anche il polpettone a forma di parallelepipedo si lascia mangiare volentieri.
Ma Jeonju è famosa in tutta la Corea per il bibimbap, che è nato proprio qui. Questo ristorante lo propone senza l’uovo, e anche se io lo preferisco con l’uovo, anche questo sicuramente è all’altezza.
Ogni grande città coreana ha il suo makgeolli, e quello di Jeonju è forse il migliore che ho provato sinora.
Dopo avere spazzolato tutto come al solito, ci rechiamo al Jeolla Gamyeong, complesso governativo risalente alla dinastia Joseon.
Per più di 5 secoli, a partire dalla fine del 1300, qui sono stati gestiti gli affari amministrativi, giudiziari e militari di tutto il sud ovest della Corea. Uno dei palazzi era la residenza del governatore.
L’ultima foto mostra il PungNamMun, ossia l’unica porta d’ingresso all’antica città che è sopravvissuta a guerre e ad altre calamità.
Purtroppo si può vedere solo da fuori, poiché l’ingresso è vietato.
La foto che segue merita uno spazio tutto suo perché è un monumento a ricordo delle migliaia di comform women, da noi dette donne di conforto, vittime di abusi da parte delle truppe di occupazione giapponesi.
Se vuoi sapere di più su questa triste vicenda, ti invito a cliccare sul link nella frase precedente.
Gyeonggijeon è il complesso che ospita l’unico ritratto rimasto del re Taejo, fondatore della dinastia Joseon, che va dal 1398 al 1910.
Anche tutti gli annali della dinastia sono conservati in un edificio di questo complesso, e sono un documento preziosissimo, protetto dall’UNESCO.
La loro difesa, tra l’altro, è costata la vita a molte persone che si sono sacrificate per proteggere questi libri dai vari invasori che hanno devastato la Corea nel corso dei secoli.
Forse ricorderai che le mura della città di Suwon, che ho visitato nel mio precedente viaggio nella Corea del Sud, sono state ricostruite identiche alle originali grazie agli annali, nei quali veniva registrato minuziosamente con disegni e parole tutto ciò che riguardava la dinastia reale, incluse le ore in cui il re andava in bagno e quanto ci restava.
Una delle caratteristiche più interessanti degli annali è che il re non era autorizzato a leggere quelli dei suoi predecessori, per non rimanerne influenzato, e nemmeno quello che veniva riportato durante il suo regno, per consentire agli autori di essere obiettivi e non rischiare punizioni per aver scritto cose non gradite al re.
Capitava pertanto che quest’ultimo, in un momento di amnesia sulle regole, chiedesse che non venisse registrato quanto stava dicendo, e che negli annali giustamente venisse riportato: “Il re mi ha appena chiesto di non scrivere quanto sta dicendo ora”.
Il Hanok Village, ossia il conglomerato di case tradizionali coreane di Jeonju, aveva subito un rapido degrado a partire dalla fine degli anni ‘70, diventando una zona di malaffare e di malattie causate dalla sporcizia.
Tutto ciò è cambiato con l’assegnazione dei mondiali di calcio del 2002 al Paese asiatico, con alcune partite da giocare proprio qui.
Questo ha convinto le autorità locali ad intraprendere una profonda opera di risanamento, trasformando il villaggio in un’attrazione turistica.
In molti sostengono che la commercializzazione dell’area sia stata spinta all’eccesso, eliminando quasi totalmente l’autenticità del luogo.
È un dato di fatto che alcune vie non sono altro che una serie di negozi di souvenirs uno dopo l’altro, mentre in altre si trovano botteghe particolari, in cui ad esempio si pratica la chiromanzia o dove si vendono estratti alcolici atti a rinvigorire le prestazioni sotto le lenzuola.
Il National Intangible Heritage Center è molto interessante, perché racconta attraverso oggetti e filmati le tradizioni della Corea rurale fino a qualche decennio fa, con le sue feste, i riti e le esibizioni musicali.
Come sempre l’ingresso è gratis e ci sono alcune sale dedicate all’intrattenimento dei bambini … e non solo.
Poi mi sono innamorato delle maschere; anche se sono quasi tutte grottesche o spaventose, me le sarei portate tutte a casa.
Come si suonano alcuni strumenti tradizionali coreani
Panoramica di una delle bellissime sale
Perché anche i bambini (e non solo) meritano di divertirsi
Altrettanto interessante è il museo delle bevande alcoliche, perché rivela la storia e la preparazione delle bevande più consumate in Corea, quasi tutte prodotte a partire dal riso, tra cui ovviamente i miei adorati makgeolli e soju.
I contenitori bianchi finemente decorati erano usati dalle famiglie che preparavano illegalmente i liquori in casa, e che speravano con questo stratagemma di ingannare le autorità, presentandoli come oggetti decorativi.
Le ultime due foto mostrano rispettivamente la preparazione del makgeolli e del soju. Il primo è quel liquido che resta al fondo del vaso dopo che un enzima sciolto nell’acqua e attivato dal riso produce una reazione chimica.
Facendo poi bollire il makgeolli in un alambicco, si genera un vapore che, condensandosi, produce il soju.
Da appassionato di sport, soprattutto su ghiaccio, non potevo esimermi dal visitare il locale pala ghiaccio, che offre due piste, una per l’hockey e l’altra per tutto il resto.
L’impianto viene utilizzato per eventi internazionali di short track e speed skating, e negli ultimi anni ha ospitato due Four Continents di pattinaggio di figura.
Quando non ci sono partite, l’accesso alla pista da hockey è vietato agli spettatori, ma grazie alla mia solita fortuna la signora all’ingresso ci accompagna a bordo pista, colpita dal fatto che non siamo capitati lì per sbaglio ma che avevamo davvero pianificato di visitare il centro.
Tra l’altro, non vedo l’ora di venire in Corea del Sud durante un inverno, per poter assistere a una competizione di short track a Seul!
Visto che abbiamo ancora tempo prima di doverci recare alla stazione dei bus, andiamo a visitare uno dei tre stadi dedicati al calcio e all’atletica. Il più importante ovviamente è quello che ha ospitato i mondiali del 2002, questo è il secondo per capienza.
Non male, per una città di poco più di 600.000 abitanti.
E così si conclude anche il mio secondo viaggio nella Corea del Sud, questa volta dedicato non solo a Seul.
Non ho altro da aggiungere nelle considerazioni finali rispetto a quanto scritto per il mio viaggio a Seul. Bene o male, tutto quello che avevo notato allora è stato confermato.
Se ti è piaciuto questo articolo, o se avessi qualche altra curiosità alla quale pensi che potrei rispondere, ti invito a lasciare un commento qui sotto, grazie.