Presentazione Giappone
Il Giappone è uno Stato insulare dell’Asia orientale, situato nell’Oceano Pacifico.
Il suo territorio prevalentemente montuoso comprende 14.125 isole, ma le cinque più grandi rappresentano il 97% dei circa 378.000 kmq che lo compongono.
I circa 126 milioni di abitanti lo rendono l’undicesimo Paese più popolato al mondo e la cosiddetta Grande Area di Tokyo, con i suoi 38 milioni di residenti, è la più grande area metropolitana del pianeta.
Io ho visitato una parte dell’isola di Honshu, la più estesa del Paese, nel periodo della fioritura dei ciliegi. Con me c’era il fido Ji Hun, che hai già conosciuto nel mio articolo su Seoul.
La sua perfetta conoscenza del giapponese è stata un dono dal cielo, perché se avessi dovuto districarmi da solo tra la pessime indicazioni in inglese (quando c’erano) e la cervellotica gestione del sistema di trasporti, avrei perso molto più tempo.
Non sto cercando di spaventarti o di scoraggiarti a intraprendere un viaggio verso questo bellissimo Paese, però è giusto avvisarti che una preparazione adeguata su come, dove e quali biglietti di bus e/o treno acquistare, per fare un esempio, ti eviterà qualche grattacapo di troppo.
Qualcosa lo scoprirai leggendo il resto dell’articolo, ma per tutti i dettegli ti consiglio di consultare i siti specializzati nel sistema di trasporti giapponese.
Treksplorer, ad esempio, spiega le varie opzioni disponibili per spostarsi a Osaka e può essere un valido punto di partenza, per quanto io non sia d’accordo sull’affermazione che muoversi all’interno di quella città sia semplice.
Adesso però è ora di partire. Sveglia alle 4 e partenza da Seoul alle 7, con destinazione Kobe.
L’esperienza con Air Busan è stata molto positiva. Un nuovo Airbus A321, tanto spazio per le gambe, buon cibo e puntualità … niente male, per una compagnia a basso costo. Evidentemente, il fatto che in Corea ci siano altre 5 compagnie low cost aiuta a far sì che il livello del servizio sia molto alto.
Curiosità: a Seoul, mentre l’aereo stava arretrando dopo essersi staccato dal finger del gate, tutto il personale di pista addetto al carico dei bagagli sull’aereo si è allineato, ha fatto l’inchino e ha salutato noi passeggeri con la mano, o almeno quelli che dal finestrino riuscivano a vederli. Lo stupore mi ha impedito di afferrare il telefono per riprendere l’evento, ma è stata una scena bellissima.
Bel tempo alla partenza, pioggia all’arrivo
Dopo 55 minuti di volo, Osaka ci accoglie con la pioggia, ma non è un problema perché le previsioni danno bel tempo per i giorni successivi.
La nostra meta in realtà è Kobe, che useremo come base di partenza per le visite dei prossimi due giorni. All’aeroporto di Osaka acquistiamo il biglietto per il traghetto che ci porterà lì in circa 30 minuti.
Viaggio comodo e veloce
Durante l’ultimo tratto a piedi per raggiungere l’albergo, ci imbattiamo in una sfilata di moda all’interno di un enorme centro commerciale.
Molte cose interessanti ancora prima di arrivare in albergo. Se il buongiorno si vede dal mattino…
La visita di Kobe parte da un paio di jinja.
Il jinja è un santuario scintoista composto da molti edifici, e presenta statue di animali considerati portafortuna, soprattutto la volpe.
In Giappone sono molto diffusi, tanto che non ti indicherò neppure il nome se non in casi particolari, visto che li troverai davvero ovunque e dopo un po’ tendono a sembrare tutti uguali.
Il jinja è caratterizzato dalla presenza di uno o più torii, un vero e proprio portale d’ingresso che troviamo non solo nei jinja ma anche nelle strade di alcune città. Il torii indica la presenza di un’area sacra.
Kobe è molto carina, si può dire a misura d’uomo, nonostante il milione e mezzo di abitanti non la rendano una semplice cittadina.
Ti propongo alcune foto diurne e notturne, alcune delle quali prese sulla bella ruota panoramica collocata nella zona del porto.
Anche se sulla cucina giapponese ci sarà una sezione a parte verso la fine dell’articolo, il famoso manzo di Kobe mi ‘costringe’ ad aprire subito un breve capitolo sul cibo, visto che rappresenta un eccellenza del Giappone.
Ciò che lo rende famoso in tutto il mondo è il fatto che si scioglie in bocca. Ovviamente si tratta di un’esagerazione, perché è più corretto dire che volendo lo si può sminuzzare in bocca anche solo premendo la lingua contro il palato, ottimo per chi è rimasto senza denti!
Costa caro come l’oro, ma se si ha la possibilità lo si dovrebbe assaggiare almeno una volta nella vita.
Dopo avere unto la griglia con del lardo, si cuoce la carne e la si pone in una ciotola con un tuorlo d’uovo e della salsa di soia. Il sapore è divino!
Devo ancora capire come abbia fatto il cuoco a non bruciarsi la mano
Prendiamo anche un sushi di manzo (ma lo preferisco di pesce) e una birra Kirin.
Poiché un altro piatto in quel ristorante ci costringerebbe a saltare i pasti il giorno dopo, ci rechiamo in un bento shop.
Il bento è una scatola adibita a contenere un pasto; in quello che abbiamo preso ci sono riso, tofu, pesce crudo, verdure, fagioli caramellati più altre cose che non ho identificato, ma ho pensato che se le mangiano i giapponesi, non vedo perché non dovrei mangiarle io.
Poiché anche questo non ci basta, passiamo da un Seven Eleven a prendere un ramen e due palle di riso da portarci in albergo, una alle alghe e l’altra con del salmone … il tutto innaffiato da un buon sakè.
La goduria di trovare l’asse del water RISCALDATO che mi aspetta al risveglio è indescrivibile, ma purtroppo non posso indugiare troppo sul trono perché dobbiamo prendere un treno per Hiroshima e poi un traghetto per l’isola di Itsukushima.
I treni sono comodi e solitamente puntuali, anche se è meglio evitarli nelle ore di punta
L’isola di Itsukushima, conosciuta anche con il nome di Miyajima, è la sede dell’omonimo santuario, famoso per il suo torii galleggiante.
L’atmosfera è molto gradevole, anche grazie ai ciliegi in fiore e alla presenza dei cervi giapponesi, detti sika, per molto tempo considerati animali sacri in Giappone. Sono molto socievoli ma, mi è stato detto, per un triste motivo: hanno una gran fame, visto che a quanto pare non c’è nessuno che si prenda cura di loro.
Per entrare nell’area del santuario la coda è lunghissima, per cui decidiamo di lasciar perdere e facciamo qualche foto dall’esterno.
Come tutti sanno, Hiroshima è stata completamente ricostruita.
La seconda foto mostra una veduta aerea del castello dopo la bomba esplosa il 6 agosto 1945, mentre il Centro Esibizioni è uno dei pochi edifici che non è stato completamente raso al suolo.
Ricordate che in Corea la tartaruga è presente accanto a quasi tutti i templi come simbolo di buon augurio? Ecco perché la ritroviamo in un monumento eretto negli anni ‘70 in memoria delle migliaia di coreani morti dopo la bomba.
Simbolo di speranza è anche la campana della pace, situata a poche decine di metri di distanza. Oggi Hiroshima è una ridente e moderna città, molto gradevole da visitare, ma quanto successo quasi 80 anni fa non potrà mai essere dimenticato, e forse è meglio così.
Il castello di Hiroshima è stato ricostruito nel 1958.
Seguono alcune foto dell’immancabile jinja e una romantica veduta notturna.
Il mattino seguente visitiamo il Giardino delle Erbe di Nunobiki, facilmente raggiungibile da Kobe e meritevole di una visita già solo per il fatto che ci si arriva in funivia.
Bellissimo viaggio in funivia, con un panorama che si estende fino al Mare Interno di Seto e a Osaka
Nel pomeriggio, visita al castello di Himeji, conosciuto anche come il ‘Castello dell’Airone Bianco.’
Himeji è situata 46 km a ovest di Kobe, e il suo castello è stato il primo patrimonio dell’umanità UNESCO in Giappone.
È considerato il massimo capolavoro dell’architettura dei castelli giapponesi, che raggiunse l’apice nel 1600.
Purtroppo l’interno è completamente vuoto e piuttosto buio, ma tutta la zona circostante merita di essere visitata, soprattutto in questa stagione.
Altra breve digressione gastronomica, per descrivere cosa è successo oggi a pranzo a Himeji.
Ovviamente non potevo venire in Giappone senza mangiare il sushi almeno una volta, anche se alla fine l’unico che non conoscevo già è stato quello con il gambero schiacciato e con sopra una lamina di gelatina (lo si riconosce facilmente).
La zuppa di miso che lo accompagnava invece era piuttosto diversa rispetto a quella che si trova di solito in Italia, e mi è piaciuta molto.
Anche il riso del sushi è diverso, molto meno compatto del nostro, e poiché la mia tecnica con le bacchette lascia molto a desiderare, ho distrutto i primi due pezzi nel momento in cui li ho intinti nella ciotola con la salsa di soia.
A quel punto Ji Hun ha iniziato a imboccarmi come un bambino, e dopo un po’ è arrivata la padrona del locale, per dirgli che la scena l’aveva talmente intenerita che aveva deciso di offrirci il caffè.
Al momento di pagare è poi arrivato il marito, che ci ha regalato due bellissime tazze da tè e ha voluto fare una foto con noi.
Non ho ancora capito il motivo di tanto entusiasmo verso un italiano e un coreano, considerando che io non capivo una cippa di cosa stesse succedendo e che in genere i rapporti tra Sud Corea e Giappone sono tutt’altro che idilliaci, comunque va bene così.
L’atmosfera di Osaka, città di 2.600.000 abitanti, è completamente diversa rispetto a Kobe e Hiroshima: I palazzi sono più alti, la gente va più di fretta, i negozianti non sono particolarmente amichevoli, i ragazzi hanno un look molto più estremo, il numero di ubriachi e senzatetto che si incontrano per strada di sera è molto superiore, e ci sono cartelli in inglese ovunque.
Anni fa, Pan (vedi viaggio in Sichuan) mi aveva detto che “Osaka non è il Giappone”, e ora penso di aver capito cosa intendesse dire.
Comunque, anche qui ci sono cose interessanti da vedere, e il nostro giro inizia visitando la torre Harukas, il cui osservatorio è posto a 288 m di altezza.
Vista dall’alto, Osaka è piuttosto bruttina, ma se dall’osservatorio si prendono le scale per scendere di alcuni piani invece di infilarsi subito nell’ascensore, nel palazzo ci sono alcuni locali carini e una terrazza al sedicesimo piano.
Francamente il panorama di Osaka non mi ha entusiasmato
Arriva poi il momento del parco Tennoji, che presenta un interessante giardino botanico, e del Shitennoji, ossia il ‘Tempio dei 4 Re Celesti’, da alcuni ritenuto il più antico tempio buddista del Giappone.
Le ultime tre foto si riferiscono a un altro tempio, quello di Issinji, molto meno turistico ma altrettanto interessante.
Ora ti mostro due curiosità.
Forse avrai riconosciuto il pesce della prima foto: è il terribile ‘fugu‘, che noi conosciamo come ‘pesce palla’, tanto buono se trattato correttamente quanto letale se trattato da mani incapaci di eliminare totalmente la tetrodotossina contenuta nella sua pelle e in alcuni organi interni.
Non a caso occorrono dieci anni di studio, prima che un cuoco venga autorizzato a servirlo. Questa norma è stata introdotta nel 1959, dopo che nel triennio precedente erano morte 420 persone per avvelenamento.
Gli appassionati dei Simpson ricorderanno che anche Homer ha rischiato di fare una brutta fine, in uno degli episodi più celebri della serie.
La seconda foto invece mostra quello che secondo i Giapponesi sono i nostri ‘spaghetti alla carbonara’. Penso di non dover aggiungere altro…
I jinja sono davvero ovunque, anche nelle strade più strette.
I due barattoli di sakè che vedi in una foto sono un’offerta agli dei. In alternativa si lasciano frutta o riso.
Nell’ultima foto viene descritto il rituale da compiere quando si entra in un jinja.
Il castello di Osaka, la cui costruzione originaria risale alla seconda metà del XVI secolo, è stato più volte parzialmente distrutto e ricostruito, con l’ultima ristrutturazione completata nel 2019.
È inserito all’interno di uno dei parchi più grandi della città, molto frequentato soprattutto in questo periodo per la fioritura dei ciliegi.
Restiamo lì per un po’, mentre la luce naturale del giorno lascia il passo a quella artificiale della sera e la città si riempie di nuovi colori.
La notte di Osaka è molto luccicante, come nella maggior parte delle città dell’est e sud-est dell’Asia.
Le ultime due foto sono del quartiere Dotonbori, che in alcuni punti ricorda un po’ la zona dei Navigli a Milano, con un canale e ai due lati una serie di ristoranti e bar.
Anche ai giapponesi piace uscire la sera
Kyoto, città di circa 1.500.000 abitanti, è l’antica capitale del Giappone ed è famosa non solo per i suoi templi buddisti e per i jinja, ma anche per i giardini e i palazzi imperiali.
Adoro la forma affusolata della parte frontale dei treni veloci giapponesi
Nonostante abbiamo preso un treno molto presto a Osaka per arrivare al jinja Fushimi Inari prima delle otto, mezzo mondo ha avuto la nostra stessa idea, tra cui molti italiani.
Questo jinja si espande per quasi 4 km lungo il versante di una montagna e include più di 10.000 torii, 800 dei quali sono disposti in fila formando un lunghissimo tunnel.
Circa un’ora più tardi, dopo aver evitato l’assalto delle scimmie, non resisto al richiamo dei takoyaki, deliziose palline ripiene di polpo e la cui pastella resta morbida all’interno.
Poi è la volta del giardino di Tenryuj, Patrimonio dell’Unesco.
Come avrai notato, non mi sono ancora stancato di fare foto ai ciliegi in fiore!
L’ultima tappa prima di pranzo è al Kinkakuji, ossia il ‘Tempio del Padigione d’Oro’.
Un viaggio in mezzo ai ciliegi in fiore? Perché no?
Kinkakuji è un tempio zen facilmente riconoscibile perché ricoperto quasi interamente di vere foglie d’oro, ed è una delle attrazioni che chi si trova a Kyoto non può assolutamente mancare.
In origine era la villa dello shogun Ashikaga Yoshimitsu, ma venne trasformato in un tempio dopo la sua morte nel 1408.
Nel pomeriggio ci rechiamo al castello di Nijo e al jingu Heian, dove fotografo degli alberi bianchi ma non per i fiori o la neve, ma a causa dei bigliettini intrecciati appesi ai rami, con i quali si esprime un desiderio.
In questo santuario c’è anche un bellissimo giardino.
Dopo aver salutato Heian e il suo gigantesco torii, ci dirigiamo al jinja Yasaka.
Il suono della campana fa parte del rito di preghiera. Qui c’è una descrizione dei vari passaggi
La visita a Kyoto si conclude con la visita del tempio di Otowasan Kiyomizu-dera, un vero spettacolo per gli occhi soprattutto di notte.
Dalla collina su cui è situato il tempio si gode anche di un bel panorama di Kyoto
In realtà anche la stazione di Kyoto è un vero spettacolo: per qualche motivo che non ho compreso, la struttura è altissima, e dalla sua parte più elevata si gode di un bel panorama della città, torre inclusa.
Quando anche una scalinata fa spettacolo
Prima di continuare il racconto dei luoghi visitati, mi fa piacere menzionare un altro atto di cortesia da parte di un giapponese di cui ho beneficiato a Kyoto.
Ji Hun e io avevamo deciso di semplificare un po’ il programma, perché gli 82 km camminati negli ultimi quattro giorni stavano iniziando a pesare sulle mie povere gambe; pertanto, pensavamo di limitarci a camminare circa 25 km invece degli oltre 30 previsti.
Poco dopo aver passato i 16, però, ho iniziato a sentire un certo formicolio ai polpacci, e ho notato che si erano gonfiati sopra l’elastico delle calze.
Ji Hun ha iniziato a praticarmi un massaggio linfodrenante (non so perché ma il suo corso di laurea in biologia includeva anche una roba di questo tipo), ma dopo neanche due minuti è arrivata una signora sulla quarantina con una persona anziana.
Sì è presentata, si è scusata in inglese per il disturbo e ha detto che sua madre era molto preoccupata per me e voleva assolutamente che provassi una specie di fascia elastica che rilascia una sostanza che dovrebbe aiutare in situazioni del genere.
Non so di cosa si trattasse, però sicuramente mi ha aiutato, al punto che siamo riusciti a visitare quanto pianificato raggiungendo i 25 km previsti.
Adoro il Giappone e la sue gente!
Nara è una città di 360.000 abitanti ed è un posto in cui potrei tranquillamente vivere: gente rilassata e atmosfera tranquilla, ma allo stesso tempo in meno di un’ora si possono raggiungere sia Osaka che Kyoto, nel momento in cui si avesse voglia di un po’ più di movimento.
Un’altra cosa che la rende simpatica sono i più di 1.000 cervi del Giappone che vagano per le sue strade.
Animali all’assalto!
Le foto seguenti sono relative al tempio di Kōfuku-ji (le prime due) e al giardino di Suimoncho.
Il Todaiji è un tempio buddista dalle dimensioni colossali, non a caso al suo interno è ospitata la costruzione in legno più grande al mondo.
La statua in bronzo del Buddha è alta 14 metri, mentre la stanza che la ospita è alta 57 metri e profonda 50. Distrutto e ricostruito più volte a causa di terremoti e incendi, le dimensioni attuali del tempio sono di un terzo inferiori a quello originale.
Questo ‘gigantismo’ non ha alcuna connotazione spirituale ma, proprio come con le nostre chiese, è un puro sfoggio di vanità, una dimostrazione di potere e opulenza.
Ai tempi della sua costruzione, Nara era la capitale del Giappone, pertanto doveva avere il Buddha più grande di tutti.Le ultime due foto riguardano Tamonten, il più potente dei guardiani dei quattro punti cardinali.
È interessante analizzare l’etimologia del suo nome: dal basso in alto abbiamo gli ideogrammi cinesi TA = molto MON = l’ascolto e TEN = il cielo, quindi, in senso lato, Dio.
Tamonten, pertanto, significa “la divinità che ascolta molto” e il messaggio è chiarissimo: bisogna sempre fare attenzione a come si parla, perché lassù in cielo c’è qualcuno che ascolta tutto ciò che diciamo e non tollera parole che indichino cattive intenzioni o pensieri.
Il parco di Nara è stato istituito nel 1880 e copre 660 ettari.
Passeggiando per Nara, ci imbattiamo casualmente in una classica casa giapponese ricostruita, con le due stanze al piano superiore collegate tra loro in modo piuttosto insolito.
Ingresso gratis.
Poi raggiungiamo in treno Miwa, sobborgo di Nara che ospita il più antico jinja del Giappone e il secondo più grande torii al mondo, con i suoi 32 metri di altezza.
Le luci della notte danno un tocco magico all’ambiente, e la cosa più bella è che possiamo godercelo in pieno perché non c’è nessun altro, fatto piuttosto raro in un jinja.
Purtroppo è già il primo aprile e quindi oggi si torna a casa a Seoul, ma visto che il volo dura solo 80 minuti e parte alle 18:30, abbiamo ancora tempo per fare un paio di cose a Osaka.
La nostra prima meta è il porto, che ospita una delle ruote panoramiche più grandi al mondo, con i suoi oltre 100 metri di diametro. Ovviamente, DEVO farci un giro.
Poi andiamo a rilasciare tutta la stanchezza accumulata in questi giorni in un onsen, la famosa spa giapponese, dove finalmente posso indossare un yukata.
Il Solaniwa è proprio un bel posto, e ha anche un bel giardino.
Tutti sanno che è importante bere molto dopo una sauna, e noi siamo sempre attenti alle esigenze del nostro corpo. Il fatto che abbiamo scelto quasi tutte bevande alcoliche è assolutamente irrilevante.
La cucina giapponese è famosa in tutto il mondo, per un motivo molto semplice: è buonissima, e non a caso parole come “sushi” o “tempura” sono ormai conosciutissime.
Ovviamente c’è molto di più, e nelle prossime foto cercherò di darti un’idea di cosa puoi trovare nel Pase del Sol Levante.
Partiamo da un pranzo sull’isola di Itsukushima, dove abbiamo mangiato in un locale molto carino, di quelli dove si mangia con le gambe incrociate.
Il piatto era un udon, ossia una pasta di grano tenero simile agli spaghetti, ma più spessa e con una consistenza morbida ed elastica. Solitamente si mangiano in brodo o saltati alla piastra, e vengono accompagnati da carne e/o verdure, uova e alghe.
Nella ciotola rossa abbiamo invece un ramen, che abbiamo mangiato a Hiroshima.
Sebbene anche in questo caso si tratti essenzialmente di un piatto di pasta in brodo, il sapore è completamente diverso perché lo sono gli ingredienti: il brodo è più ricco, la pasta più fine e gli altri ingredienti sono più ‘curati’, per così dire.
Un esempio è l’uovo sodo, che prima di venire immerso nella zuppa viene tenuto per un giorno a macerare in una speciale salsa di soia, che ne altera il colore e il sapore.
Qui vediamo del sashimi, poi un katsudon, piatto a base di riso, uova, carne di maiale e verdure, e due tipi di udon.
Nel primo c’è un gambero in tempura che galleggia, proposta che non mi ha convinto molto, mentre l’altro è più semplice.
Il rettangolo giallo è una specie di frittata, mentre quella roba bianca e rosa è un narutomaki, ossia un tortino a base di pesce.
Nel seguente video, Ji Hun ci mostra come si mangia la pasta in brodo con le bacchette.
Da prendere nota…
Passiamo ora a due piatti tipici della cucina di Osaka, che noi abbiamo mangiato a … Osaka!
Il primo sono le mie adorate takoyaki, ossia le polpettine fritte ripiene di polpo, con la pastella a base di brodo e farina che resta morbida all’interno.
Una volta pronte, si guarniscono con maionese, salsa agrodolce e katsuobushi, ossia le scaglie di pesce essiccato.
Il secondo piatto è l’okonomiyaki, che nella forma ricorda un po’ i pancake americani. Ne esistono diverse varianti, ma quella di Osaka è la più conosciuta e apprezzata.
L’impasto base è composto di farina, uova e verza, alle quali vengono aggiunte altre verdure o carne.
Questa miscela viene cucinata su un’apposita piastra chiamata teppen, e poi ricoperta di salsa agrodolce.
Ora ti mostro un tipico ristorante giapponese, dove tutto viene cotto in una grande piastra riscaldata (il teppen, di cui ho appena parlato) nella zona centrale del tavolone che occupa l’intero locale, mentre i commensali sono seduti ai lati.
Questo si trova a Kobe, e lì abbiamo mangiato un yakisoba, ossia pasta di grano saraceno fritta e insaporita con carne e verdure, seguito da un yakitori, cioè pollo e verdure alla piastra a cui vengono aggiunti mirin e salsa di soia.
Nel terzo piatto abbiamo un uovo sodo marinato in brodo di pesce e una specie di omelette ripiena di carne.
Per finire in bellezza questa carrellata di piatti fantastici, ti mostro l’unico piatto della cucina italiana che ho osato ordinare in Giappone, perché sapevo che qualsiasi locale si scelga, viene sempre preparato seguendo le più strette regole della nostra tradizione: la famosa pizza wasabi e alghe 🙂
Premetto che sicuramente il mio giudizio è condizionato dalle aspettative molto alte e dall’aver trascorso qualche mese a Seoul, città della vicina Corea che evidentemente mi ha viziato, quando si tratta di trasporti pubblici.
Sia quel che sia, fatto sta che ho trovato il sistema di trasporto pubblico giapponese come il peggiore tra quelli con cui ho avuto a che fare ultimamente, da un punto di vista organizzativo e di comprensione.
Tutto sembra fatto apposta per confondere la gente e rendere complicato ciò che potrebbe essere svolto in modo più semplice:
1. Le indicazioni all’interno delle stazioni, anche se in inglese, sono poco chiare e spesso troppo vaghe
2. Non esiste un sistema di trasporto integrato.
Le compagnie che operano all’interno di una città hanno ognuna i propri biglietti e i propri tornelli in cui inserirli, anche se condividono le stazioni. Pertanto capita spesso che se si deve cambiare treno o linea di metro, anziché semplicemente cambiare piattaforma bisogna uscire dall’area in cui ci sono i treni, acquistare un nuovo biglietto e poi tornare dentro a prendere la propria coincidenza, cercando nel frattempo il tornello giusto in cui convalidare il biglietto.
3. A volte è necessario fare attenzione su quale vagone si sale, perché è possibile che, ad esempio, i primi 4 vagoni di un treno vadano in un posto mentre gli altri 4 a un certo punto si stacchino e vadano da un’altra parte.
4. L’organizzazione dei bus poi è un insulto all’intelligenza umana. Si sale dalla porta centrale e si scende da quella anteriore. Non esiste una porta posteriore. Poiché i giapponesi non sono abituati a prepararsi in anticipo per scendere, capita spesso che all’arrivo di una fermata qualcuno si alzi dal fondo del bus e urli “orimasu”, che significa “devo scendere” e inizi faticosamente a dirigersi verso la parte opposta di un bus che magari è già pieno, mentre nel frattempo c’è gente che sale dalla porta centrale.
Il biglietto si convalida quando si scende, e questo può causare altri ritardi. Un giorno ho calcolato tre minuti e 12 secondi per completare l’operazione di salita e discesa in una fermata neanche poi tanto affollata.
Basterebbe far salire la gente dalla porta anteriore facendo convalidare il biglietto in quel momento e farla scendere dalla porta centrale, per dimezzare il tempo di arresto alle fermate.
Per fortuna i giapponesi sono molto pazienti, pertanto non ho assistito a un singolo episodio in cui qualcuno abbia alzato la voce o si sia dimostrato infastidito da questa assurdità.
Mi dicono che a Tokyo funziona diversamente, e ne sono davvero lieto. D’altra parte, come ribadisco sempre, io mi riferisco solo ai luoghi e ho visitato, anche quando dico “il Giappone” o “i giapponesi”.
Per quanto riguarda gli aspetti positivi, devo menzionare l’estrema pulizia delle carrozze e la frequenza di passaggio di qualsiasi mezzo pubblico.
Questo fa sì che anche per spostamenti di 200 km non sia quasi mai necessario verificare prima a che ora parte un certo treno, perché entro 15/20 minuti ce ne sarà quasi certamente un altro (in questo caso parlo delle zone che abbiamo coperto noi, non so se valga per tutto il Giappone).
A grande richiesta, mi lancio anche in un’ardito confronto tra giappnesi e coreani, ma anche in questo caso è doverosa una premessa. Una settimana e un raggio di 200 km non sono sufficienti per farsi un’idea di un Paese, pertanto non dovresti considerare quanto stai per leggere come un’accurata analisi sociologica, per quanto possa offrire spunti di riflessione, ma solo come l’impressione di un turista italiano che si è recato per la prima volta in Giappone.
Allora, del Giappone mi sono portato dietro i colori, i profumi, ma soprattutto l’asse del water riscaldato (magari avessi potuto!)
Scherzi a parte, ho visto molte cose bellissime, proprio come mi aspettavo.
I giapponesi poi mi sono sembrati molto attenti a quello che gli succede attorno, e sempre disposti a dare una mano quando vedono qualcuno in difficoltà, senza che ci sia bisogno di chiedere.
Al contrario, i coreani non ti notano neanche se sei steso a terra, e purtroppo non è una battuta. Le testimonianze di ragazzi che continuavano a farsi i selfie con i corpi dei loro coetanei stesi sul selciato con un telo a coprirli nel tragico evento dello scorso ottobre sono numerose, e non ho motivo per dubitarne la veridicità.
Poi è chiaro che anche qui ci sono delle eccezioni, e abbiamo visto nel mio viaggio precedente che i coreani sono anche capaci di gesti meravigliosi, ma in linea di massima sono molto più sbrigativi e meno altruisti dei giapponesi.
Detto ciò, c’è un lato inquietante dei giapponesi che mi ha sempre lasciato perplesso: nel XX secolo, ad esempio, le torture ai nemici tra le più efferate, se non le peggiori in assoluto, sono state compiute dai soldati giapponesi, e i film a carattere sessuale più estremi e violenti arrivano dal Giappone.
Un film in cui assistiamo all’agonia di un cane che sta morendo? Un altro film (animato) in cui assistiamo agli ultimi minuti di vita di una bambina di quattro anni prima che muoia di fame, seguita da quella di suo fratello poco più grande di lei?
Esatto, sono due film giapponesi, rispettivamente ‘Quill’ e ‘Una tomba per le lucciole’, campioni d’incasso in patria.
Bellissimi, per carità, con il secondo che ha anche vinto numerosi premi internazionali. Però, mi sono sempre chiesto se la lunghezza di quelle scene fosse davvero necessaria, visto che non aggiungevano nulla al messaggio dei film.
Per quanto riguarda la qualità della vita, preferisco decisamente la Corea.
Dopo tre giorni giravo tranquillamente Seoul da solo, mentre a Osaka non osavo neanche uscire dall’albergo senza Ji Hun.
È chiaro che con Google Map in qualche modo me la sarei cavata, ma sono certo che avrei perso un sacco di tempo, anche perché ben pochi giapponesi capiscono l’inglese.
Non che i coreani si distinguano particolarmente in questo, ma qualche speranza in più di riuscire a farsi comprendere a parole c’è (quando ti danno retta).
Diciamo che l’ossessione dei coreani per la prestazione e la perfezione è un vantaggio, quando si tratta di gestire cose pratiche, mentre i giapponesi mi sono sembrati più fatalisti, vedi le interminabili soste dei bus alle fermate.
Anche sul piano tecnologico non c’è paragone: per quanto il Giappone abbia fama di Paese tecnologicamente avanzato, mi è sembrato in alcuni casi di vedere una tecnologia vecchia, non al passo coi tempi. Ancora troppa carta, ad esempio, a partire dai biglietti.
Sulla gestione del denaro poi sono ancora più indietro di noi, perché è piuttosto difficile trovare posti che accettino le carte di credito. In questo caso suppongo sia un problema di commissioni bancarie, ma trovo assurdo che al giorno d’oggi si debba ancora usare così spesso il contante per i pagamenti.
Magari sbaglio, ma spesso i giapponesi mi sono sembrati schiavi del “Si è sempre fatto così, quindi va bene così”. Già io detesto la parola “tradizione” di per sé, perché spesso viene utilizzata come scusa per non chiamare certi fenomeni come ad esempio razzismo e omofobia con il loro vero nome.
Quando la resistenza al cambiamento viene applicata nella vita pratica, complicando inutilmente la vita delle persone, resto altrettanto basito.
Comunque, un altro giro lo farò ben volentieri, quando mi capiterà l’occasione. A partire da Tokyo, sono ancora tante le città che meritano una visita.
Come sempre, ti invito a lasciare un commento qui sotto per farmi sapere le tue impressioni sull’articolo.
2 Commenti
Grazie Sergio per aver condiviso le tue esperienze di viaggio, che mi hanno ispirato nelle mie scelte durante un breve viaggio a Kyoto. Avrei voluto andare anche a Osaka ma il tempo è tiranno…. vorrà dire che tornerò a leggere le tue pagine di nuovo “abbeverandomi” con le tue parole. Ciao !!!
Ciao Andrea, grazie mille per il commento, mi fa molto piacere sapere di esserti stato utile.
Allora … al tuo prossimo viaggio! 🙂