THE ELECTRONIC CORNER

Rogue FX

La Storia di un Ritorno

Rogue FX dice:

Affrontare limitazioni è stato un bene, per quanto riguarda la creatività

Finora non ho mai scartato nulla

Il mio eroe/idolo è David Bowie

Il software è molto più comodo da usare

Andrew, alias Rogue Fx, è un artista di talento che ha avuto un percorso notevole nell’industria musicale.
Leggiamo cosa ha raccontato a The Electronic Corner.

Sir Joe: Tu hai fatto parte di un gruppo synthpop negli anni ’80 e di una band di musica house negli anni ’90. Dopo una pausa di 20 anni, hai dato il via al tuo progetto solista, Rogue FX. Cosa ti ha ispirato a tornare a far musica?

Rogue FX: È una cosa su cui ho riflettuto parecchio nel corso degli anni. Il momento specifico in cui è scattata la molla è stato quando mi sono immerso nella synth wave. Ho pensato: “Perché non provarci?”. È stato tutto molto semplice.
Non ne sapevo molto sulla scena moderna perché le mie conoscenze erano piuttosto datate: le cose erano cambiate molto. Ma ho fatto il grande passo e mi sono procurato un sintetizzatore hardware.
Le mie prime 3 o 4 canzoni? Tutte realizzate quasi interamente su quel synth, compresa la batteria e tutto il resto. Solo in seguito mi sono espanso un po’, aggiungendo altro hardware e acquistando molti software virtuali per le mie tracce.

SJ: La scena musicale è decisamente evoluta rispetto a quando hai iniziato negli anni ’80. Qual è la principale differenza che noti nella creazione di musica elettronica di allora rispetto a quella di oggi, escludendo l’ovvio fatto che oggi possiamo contare su un sacco di roba digitale?

 

Rogue FX: Alla fine degli anni ’80, quando ho iniziato a suonare, alcune cose erano più semplici, e altre più complicate. Avevi un sequencer e forse 2 o 3 synth, se eri fortunato.
Di solito era uno solo, possibilmente multitimbrico, in modo da potersi destreggiare tra 8 canali di un sequencer, e magari una drum machine. Questo era il setup completo.
Dopodiché si andava in studio. Registravi la tua canzone, di solito su un 8 tracce. Ci mettevi sopra la voce e boom, avevi una cassetta demo.
Forse lo studio aveva una struttura che consentiva di produrre 50 copie di quel nastro demo e il gioco era fatto.
Negli anni Novanta la tecnologia è diventata un po’ più sofisticata. Abbiamo utilizzato i primi VST per chitarra, le prime versioni di Cubase, un campionatore, un paio di altri sintetizzatori e imparato a usare meglio il MIDI.
Inoltre, con le macchine DAT, potevi registrare tutto direttamente lì sopra. Tutto è diventato molto più semplice.
Quando avevamo contratti discografici, a volte andavamo in studio, altre volte usavamo direttamente quello che era finito nel DAT, a seconda che avessimo bisogno o meno delle voci. I brani strumentali di solito non avevano bisogno di un trattamento in studio.
Tuttavia, rispetto a quello che si può fare oggi, era tutta un’altra cosa. Dovevi affittare uno studio alle Bahamas per fare qualcosa di simile a quello che puoi fare oggi in una DAW, con tutti quei synth virtuali.

SJ: Assolutamente sì. E se sbagli, puoi cancellare tutto e ricominciare da capo, un lusso che non avevamo ai tempi in cui tutto era analogico.

Rogue FX: Tuttavia, credo che affrontare limitazioni sia stato un bene, per quanto riguarda la creatività, perché dovevi fare i conti con quello che avevi.
Ora hai un sacco di opzioni, forse troppe, e questo ti intralcia un po’. Cerco di dire a me stesso: “Va bene, useremo questo particolare synth VST e questo synth hardware. Nient’altro”.
Non voglio passare ore a cercare il rullante giusto e cose del genere. Il mio atteggiamento in questo senso deriva dagli anni ’80 e ’90, quando non avevamo questo tipo di lusso in termini di scelta.

SJ: In effetti, questo è un tema ricorrente con i miei ospiti di The Electronic Corner. Le limitazioni di allora ti spingevano a padroneggiare i pochi strumenti che avevi, traendo il meglio da essi. A volte si era più produttivi di oggi, dove c’è il rischio di perdersi in un mare di opzioni: troppi effetti, troppi suoni.
Senza una disciplina rigorosa, potresti ritrovarti a iniziare 10 canzoni e non portarne a termine nessuna, semplicemente perché sei sopraffatto dall’indecisione su cosa usare.

 

Rogue FX: Ecco perché, ancora oggi, lavoro fondamentalmente su una sola canzone e la porto a termine. A volte posso avere due canzoni contemporaneamente, ma mai di più.
Magari ho dei testi scritti e delle note vocali, ma non ho mai più di due canzoni sulla DAW. Se qualcosa non funziona, continuo con quella canzone finché non la faccio funzionare. Finora non ho mai scartato nulla.

SJ: So che ti piace lavorare con altri artisti. Cosa apportano le collaborazioni al tuo processo creativo?

Rogue FX: Per me, il vantaggio più evidente delle collaborazioni è che ti aiutano a crescere in termini di follower, perché gli altri artisti hanno dei follower che potrebbero apprezzare il tuo lavoro proprio perché hai collaborato con un artista che ammirano.
Ci sono poi canzoni che non sarebbero mai esistite se non avessi fatto una collaborazione. Questo è il vantaggio principale per me, perché una collaborazione ti porta in posti diversi dal punto di vista creativo.
Proprio ora sta per uscire un brano. Non avevo programmato la cosa, ma qualcuno mi ha mandato un mix di base che aveva fatto. L’ho trovato molto interessante, un po’ più moderno rispetto al genere di cose che faccio di solito, così ho deciso di lavorarci su. È venuto bene, ed è l’esempio di un qualcosa che non sarebbe esistito senza una collaborazione.
 

SJ: Come mai hai deciso di fare una cover di ‘People Are Strange’ dei Doors?

Rogue FX: La prima cosa da dire è che quasi nessuno nel mondo dei synth fa delle cover. Adoro quella canzone e, anche se non è specificamente una canzone di Halloween, ha un po’ un legame con Halloween per il suo legame con i “ragazzi perduti”.
Ho pensato che se avessi voluto fare una cover, avrebbe dovuto sembrare molto diversa, con molti synth.
Ricordo che quando i Pet Shop Boys fecero “Always on my Mind”, la cambiarono completamente. Volevo fare qualcosa di simile, che si adattasse alla mia voce.
Per questo l’ho fatta in quel modo e sono molto soddisfatto del risultato. Non ci è voluto molto, rispetto ad altri brani. Ci ho messo circa 3 settimane, non 6 o 8 come in altri casi.

SJ: Il tuo EP “The Fifth Step”, pubblicato nell’agosto dello scorso anno, presenta un mix di brevi segmenti parlati e brani classici di retrosynth. Cosa ha ispirato questa scelta?

Rogue FX: ‘The 5th Step’ ha un’atmosfera da film. La storia si basa su uno scenario specifico, ambientato fra 10 anni, ma io dico sempre che potrebbe accadere proprio adesso.
In questo mondo, c’è un lockdown e le mega-corporazioni stanno manipolando le menti delle persone. I viaggi sono proibiti a causa di questo lockdown, quindi le persone fanno viaggi mentali in diversi posti. È una situazione simile a quella di ‘Total Recall’.
La narrazione segue un personaggio di nome Max Roark, un mercenario con un passato nel mondo della criminalità, che sta cercando di ricostruirsi una vita. Ha fatto un sacco di soldi lavorando per aziende come la Mime Corp, che è un po’ losca, e tutto ciò ha un impatto su di lui in vari modi.
Mi piaceva l’idea di inserire una narrazione nel prodotto, ispirandomi a uno dei miei album preferiti degli anni ’80, quello dei Sigue Sigue Sputnik.
Sorprendentemente, avevano questi intermezzi fantastici tra le canzoni che aggiungevano una dimensione diversa. Mi è sempre piaciuto questo stile, e di recente artisti come The Weeknd lo hanno incorporato nei loro album. Non ho intenzione di farlo per ogni album, ma potrei prenderlo in considerazione per una o due canzoni.
Mentre lavoravo ai primi due singoli, sapevo che sarebbe stato un disco con quattro tracce. Quindi, prima dell’uscita ufficiale, ho deciso di aggiungere queste sezioni narrative. Fortunatamente, dei miei fantastici amici si sono offerti di fare i doppiatori. Ho messo insieme velocemente una sceneggiatura – non sono uno sceneggiatore, ma è venuta bene. Ho realizzato i segmenti vocali in un paio di giorni.
Spero che il tutto riesca a raccontare una storia. So che al giorno d’oggi non tutti ascoltano la musica dall’inizio alla fine, ma questa era l’intenzione.

SJ: Se, per qualche strano motivo, i campanacci (cowbells) e i battiti di mani (claps) fossero vietati a livello globale, pensi che potresti sostituirli efficacemente con altri suoni percussivi? Oppure questi due suoni sono così parte integrante della musica retrosynth che trovare dei sostituti adeguati sarebbe quasi impossibile?

Rogue FX: Non si può fare a meno del clap, non esiste. Sarebbe un disastro totale. Se mi parli dei cowbells, mi piace inserirne solo un po’. Li ho messi in alcune canzoni perché, beh, adoro quel suono.
Tra l’altro, mi piace mescolarli. Alcuni sono i classici, autentici cowbells, altri sono dei suoni della drum machine TR che li ricordano. Questo aggiunge un po’ di varietà.
Ma togliere il clap? No, questo è troppo. Non riesco a pensare a un solo mio brano che non contenga un clap.

SJ: E se potessi formare un supergruppo con qualsiasi musicista, vivo o morto, chi ne farebbe parte?

Rogue FX: Il mio eroe/idolo è David Bowie, quindi lo metterei subito alla voce solista, e io mi accontenterei dei cori. Poi ravviverei un po’ le cose con una chitarra. La verità è che non sono un guru della chitarra. Ho un mucchio di chitarre e sto cercando di suonarle.
Comunque, per dare un’impronta davvero rock alla chitarra, punterei su qualcuno come Steve Stevens, il chitarrista di Billy Idol. Lui sa come fondere i suoni electro con i sintetizzatori e questa è l’atmosfera che voglio ottenere. Facciamolo salire a bordo.
Per quanto riguarda la batteria, sceglierei il grande Taylor Hawkins – che riposi in pace. Era una leggenda assoluta della batteria. Quindi, se parliamo di batteria, Taylor Hawkins sarebbe il mio punto di riferimento.
Mi piace il basso slap, quindi potrei aggiungere uno come Mark King. In realtà, ho un eroe musicale che funzionerebbe bene sia come sua alternativa che come voce di supporto: Phil Lynott dei Thin Lizzy.

SJ: Parlaci del tuo studio. Utilizzi principalmente hardware o software?

Rogue FX: Mi vergogno perché ora uso più software, mentre sono sempre stato un tipo da hardware, ma sai cosa? Così è molto più comodo.
Uno dei motivi è il mio modo di registrare: Mi piace suonare piuttosto che programmare, sono più un musicista che un programmatore.
Quando si tratta di battere il tempo, ho bisogno di alcuni strumenti ed è qui che il lato software brilla. Non funziona così bene su un sintetizzatore hardware o con un file audio vero e proprio. Ma le lo uso direttamente su un MIDI con un soft synth? Questo è il punto di forza: è molto più facile.
Perciò, compongo la maggior parte dei brani con i soft synth e magari aggiungo un paio di sovraincisioni fatte con l’hardware. In questo modo posso avere il meglio di entrambi i mondi.

SJ: Quale DAW utilizzi?

Rogue FX: Uso un iPad Pro, il che mi limita un po’ con la scelta della DAW. La scelta più ovvia sarebbe Logic, ma io preferisco Cubasis. È una sorta di cugino stretto di Cubase, molto simile.
Certo, ha qualche limite, ma onestamente non mi lamento. Copre tutte le basi, più o meno, e la parte migliore? Mi permette di lavorare in orari strani, soprattutto di notte.
Onestamente, per la maggior parte del tempo non sono nemmeno in studio. Sono seduto davanti alla TV e se devo registrare qualche traccia, lo faccio su una piccola Akai. Rende tutto più semplice e super portatile, capisci?

(Ora ti invito a guardare il seguente video, a partire dal minuto 21:40. Andrew ci mostrerà il suo studio).

Ringraziamo Rogue FX per l’intervista e ci congratuliamo con lui per aver vinto un premio come ‘Best Electro Act’ a Radio Wigwam un paio di giorni dopo la registrazione dell’intervista.

Ricordati di dare un’occhiata alla sua pagina Bandcamp

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